Caso La Fata: facciamo chiarezza

Nelle ultime settimane diversi organi di stampa hanno portato all’attenzione il caso di un nostro paziente, Enzo La Fata, che ha intentato causa al nostro Istituto, con una cospicua richiesta di risarcimento, sostenendo che – così recitano i titoli – gli sia stato asportato un polmone sano.

Con questa breve nota vogliamo offrirvi tutti gli elementi indispensabili per essere correttamente informati su quanto sta avvenendo, utilizzando le informazione già rese pubbliche dallo stesso sig. La Fata.

Vogliamo, intanto, precisare che le affermazioni attribuite al signor La Fata non corrispondono al vero. La documentazione che ISMETT ha messo a disposizione delle autorità competenti, infatti, smentisce il fatto che gli sia stato asportato mezzo polmone se non addirittura l’intero polmone sano, che sia stato sottoposto a una serie di esami sempre negativi, che l’intervento abbia alterato le sue capacità funzionali, che sia stato abbandonato da ISMETT dopo l’operazione.

Il signor La Fata si è rivolto al nostro Istituto perché, nel corso di un check up cardiologico, era stato individuato un nodulo polmonare. E, in effetti, il lobo polmonare asportato era gravemente malato per la presenza di una massa di ampio volume che poi si è rivelata essere una tubercolosi, inoltre il tessuto polmonare circostante era notevolmente ridotto di dimensioni e profondamente alterato per una bronchite cronica da fumatore.

Nei 6 mesi successivi all’intervento Enzo La Fata è stato visitato ben 13 volte nei nostri ambulatori e, nel corso delle visite, prove oggettive hanno dimostrato che dopo l’intervento la funzionalità respiratoria del paziente è migliorata.

Per la soluzione di questo caso, come sempre, abbiamo  messo in campo le tecnologie più avanzate. Sono stati i nostri specialisti i primi a non confermare la diagnosi che avevano fatto sulla biopsia, allorché hanno avuto a disposizione il pezzo operatorio. Gli stessi che, vista la complessità del caso, hanno chiesto la consulenza dei colleghi dell’Università di Pittsburgh.

Se c’è stata una diagnosi inizialmente errata non si è trattato di un caso di negligenza o di malpractice, ma di un errore dovuto a un quadro clinico molto complesso. Un evento che purtroppo può avvenire in campo medico, dove non è mai possibile eliminare del tutto l’incertezza.

Tutti noi, assolutamente fiduciosi nella giustizia e nel lavoro dei magistrati, auspichiamo che la vicenda – iniziata meno di un anno fa – sia chiarita al più presto, nell’interesse delle persone coinvolte, del personale tutto, così come di tutti i pazienti, per cui è importante avere fiducia nell’ospedale che li prende in cura.